#scuolaperta 7 Aprile – al Buonarroti si parla di Storia

evento

12 Ottobre 2024

Cos'è

papa coronavirus

 

Due settimane fa la storia è esplosa sui nostri schermi. Tutti i lunghi giorni di questo lockdown hanno odore di storia, li condenseremo questi ricordi, ne faremo un racconto che con il tempo diventerà sempre più asciutto, fino a diventare poi solo una parola (“la spagnola” sentiamo adesso, il “covid” diremo un giorno).

Quello che non dimenticheremo però sarà quell’esplosione di storia che è stato un uomo, tra i più importanti al mondo e da sempre, tutto solo in piazza San Pietro. Tutto il mondo in diretta ha visto deflagrare il silenzio di quella piazza (come quel giorno di settembre ha visto deflagrare un aereo su un grattacielo) e ha capito che quella sarà una cosa che racconterà per sempre.
 
Il silenzio, la nebbia umida, lo specchio di pioggia sull’ovale della piazza, visibile perché nessuno calpestava, un colonnato che potrebbe abbracciare tutti ma cinge un solo uomo. 
 
Un uomo (tra i più importanti al mondo e da sempre) che ha fatto quello che facciamo quando abbiamo paura, guardiamo al cielo (qualsiasi forza immaginiamo lo domini) e chiediamo sollievo.
 
Non è stato un evento religioso (o non solo) è stato una cosa accaduta all’umanità intera. 
 
A supporto di questa immagine (potente e indimenticabile) non lascio le parole di quella sera, ma lascio quelle di Voltaire, anticlericale, laico, contro superstizioni e dei di ogni sorta.
Alla fine del suo Trattato sulla Tolleranza si rivolge al cielo e dice
 
Non è più dunque agli uomini che mi rivolgo; ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi, di tutti i tempi:
se è lecito che delle deboli creature, perse nell’immensità e impercettibili al resto dell’universo,
osino domandare qualche cosa a te, che tutto hai donato,
a te, i cui decreti sono e immutabili e eterni,
degnati di guardare con misericordia gli errori che derivano dalla nostra natura.
Fa’ sì che questi errori non generino la nostra sventura.
Tu non ci hai donato un cuore per odiarci l’un l’altro, né delle mani per sgozzarci a vicenda;
fa’ che noi ci aiutiamo vicendevolmente a sopportare il fardello di una vita penosa e passeggera. 
Fa’ sì che le piccole differenze tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi,
tra tutte le nostre lingue inadeguate, tra tutte le nostre usanze ridicole,
tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate,
tra tutte le nostre convinzioni così diseguali ai nostri occhi e così uguali davanti a te,
insomma che tutte queste piccole sfumature che distinguono
gli atomi chiamati “uomini” non siano altrettanti segnali di odio e di persecuzione.
Fa’ in modo che coloro che accendono ceri in pieno giorno per celebrarti
sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole;
che coloro che coprono i loro abiti di una tela bianca per dire che bisogna amarti,
non detestino coloro che dicono la stessa cosa sotto un mantello di lana nera;
che sia uguale adorarti in un gergo nato da una lingua morta o in uno più nuovo.
Fa’ che coloro il cui abito è tinto in rosso o in violetto,
che dominano su una piccola parte di un piccolo mucchio di fango di questo mondo,
e che posseggono qualche frammento arrotondato di un certo metallo,
gioiscano senza inorgoglirsi di ciò che essi chiamano “grandezza” e “ricchezza”,
e che gli altri li guardino senza invidia: perché tu sai che in queste cose vane non c’è nulla da invidiare,
niente di cui inorgoglirsi.
Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli!
Abbiano in orrore la tirannia esercitata sulle anime,
come odiano il brigantaggio che strappa con la forza il frutto del lavoro e dell’attività pacifica!
Se sono inevitabili i flagelli della guerra, non odiamoci, non laceriamoci gli uni con gli altri nei periodi di pace,
ed impieghiamo il breve istante della nostra esistenza per benedire insieme in mille lingue diverse,
dal Siam alla California, la tua bontà che ci ha donato questo istante. 
 
Prof.ssa Giulia Lecce

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